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Lo spopolamento dell'Appenino e della Bassa nel secondo Dopoguerra




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        Grafico e tabella ci permettono alcune interessanti osservazioni sulla distribuzione della popolazione all’interno della nostra provincia, così come è stata registrata dai censimenti dal 1861 al 2001.
         Per maggior chiarezza abbiamo così suddivisa la popolazione: il comune di Parma (nella sua attuale dimensione territoriale, come, del resto, tutti gli altri comuni), la Pianura senza Parma, Fidenza e Salsomaggiore, la Collina senza questi due comuni, la Montagna.



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         Nel 1861, la città, la montagna e la pianura avevano popolazioni di dimensioni analoghe; più bassa la collina.
         Cinquant’anni dopo, nel 1911, la collina era cresciuta più velocemente e i quattro territori avevano un numero di abitanti assai simile: la città si era portata al primo posto, seguita, a brevissima distanza, dalla montagna, dalla pianura e dalla collina.
         Da quel momento, la città accelerando il processo di crescita, si distaccherà sempre più dagli altri territori; soprattutto nel ventennio 1951-1971, al termine del quale giungerà a concentrare, da sola, oltre il 44% della popolazione provinciale.
         Pianura, collina e montagna crebbero ancora, ma assai più lentamente, fino al 1921; da allora le prime due, dopo un periodo di stasi o di lieve declino fino al 1951, videro fortemente ridursi la loro popolazione nel ventennio 1951-1971, per poi avviare una fase di graduale ripresa.
         La montagna, invece, iniziò un processo di spopolamento, che diventò vertiginoso nel ventennio che va dal 1951-1971, quando perse oltre il 36% dei propri abitanti, per poi proseguire il declino, sia pure a ritmo meno intenso, fino ad oggi.

         Il grafico seguente consente di osservare l’evoluzione demografica dei singoli comuni nel periodo cruciale (1951-1971); come si vede, aumentarono la loro popolazione, sia pure in misura assai diversa, soltanto cinque comuni: il Capoluogo, di oltre il 40%; gli altri due centri urbani maggiori, Fidenza (di oltre un terzo) e Salsomaggiore (in misura minima), Sorbolo e Collecchio; tutti gli altri comuni videro ridursi la loro popolazione; tra quelli in cui la flessione superò il 25%, erano compresi tutti i comuni della montagna, sei comuni della collina interna (da Varano Melegari a Pellegrino, che perdette quasi il 51%, la percentuale più elevata) e cinque comuni della Bassa, da Polesine a Mezzani.



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         Nel corso del ventennio 1951-1971, la popolazione complessiva della provincia rimase pressoché stabile, anche se attraverso uno scambio molto intenso tra iscrizioni e cancellazioni; ciò che mutò in misura assai rilevante, furono la sua composizione e la dislocazione all’interno del territorio.
         A questo mutamento l’emigrazione verso l’estero contribuì in misura importante, ma non prevalente; ad essa si accompagnarono spostamenti verso il Capoluogo e la fascia pedemontana della provincia, e verso altre aree del nord, soprattutto verso la Liguria, la Lombardia e le diverse province dell’Emilia, mentre numerosi furono gli arrivi, soprattutto dal Centro-Sud del Paese.



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Emigrazione dalla provincia di Parma nel secondo Dopoguerra - paesi di destinazione

Luoghi di destinazione

1950-1976

1977-2004

differenza (1977-2004) - (1950-1976)

Totale generale

23.509

5.783

-17.726

Totale Europa

17.353

3.129

-14.224

Totale America

4.888

1.361

-3.527

 

 

 

 

Svizzera

6.408

566

-5.842

Gran Bretagna Irlanda

4.572

611

-3.961

Francia

4.274

600

-3.674

Stati Uniti

1.816

351

-1.465

Canada

950

99

-851

Germania

933

605

-328

Argentina

823

206

-617

Colombia e Venezuela

662

169

-493

Africa

645

1.030

385

Belgio

504

110

-394

Altri paesi

414

376

-38

Oceania

400

75

-325

Brasile

367

300

-67

Altri

229

236

7

Asia

223

740

517

Grecia

105

105

0

Olanda

91

56

-35

Lussemburgo

34

7

-27

Uruguay Paraguay

34

1

-33

Austria

18

33

15

Cile Perù

6

27

21

Messico America centrale

1

18

17

Spagna

 

99

99

Portogallo

 

11

11


         Ricordato, ancora una volta, che i dati di cui si dispone non rappresentano adeguatamente il fenomeno, si può osservare che l’emigrazione verso l’estero fu sostenuta fino all’inizio degli anni Settanta, dopo di che, declinò rapidamente; dalla metà di quel decennio, e salvo modeste oscillazioni annuali, essa raggiunse una dimensione che può forse essere definita come «fisiologica».
         Fu un’emigrazione in gran parte diretta verso i paesi europei, tra i quali, tra il 1950 e il 1976, troviamo al primo posto non più la Francia, ma la Svizzera, seguita dalla Gran Bretagna; la Francia era, allora, soltanto al terzo posto, seguita, ma a distanza, dagli Stati Uniti d’America; dopo il 1976, aumentarono, anche se con valori molto contenuti, alcune destinazioni, come Africa ed Asia.
         Per cogliere con qualche maggior dettaglio la complessità del processo di scardinamento demografico avvenuto nel nostro Appennino, è utile osservare le seguenti tabelle, relative a tre comuni per i quali si dispone di una specifica ricerca compiuta nei loro archivi.
         Come si vede, già negli anni Sessanta, benché si fosse in pieno «baby boom», i tre comuni presentavano un saldo naturale negativo e tendente ad aggravarsi, conseguenza del fatto che una parte significativa della popolazione in età fertile non era più presente.







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        I dati delle cancellazioni per l’estero risultano discontinui, e anche ciò è indice di come essi non rappresentino adeguatamente il fenomeno migratorio; si nota, inoltre, che, anche in quegli anni di intensa emigrazione, fossero numerose le iscrizioni da altri comuni e dall’estero (e questi dati sono sicuramente più attendibili delle cancellazioni, spesso non registrate o per mancata comunicazione da parte dei migranti o per riluttanza delle amministrazioni a formalizzare la perdita di popolazione).
        In quel periodo, dunque, il movimento della popolazione fu un fenomeno complesso, che, tuttavia fece quasi sempre registrare saldi migratori e complessivi negativi (nonostante la parzialità dei dati).

        I dati censuari indicano come, soprattutto nel 1961, la percentuale della popolazione «temporane-amente assente» fosse elevata; il 12,5% a Bedonia e ben il 17÷18% a Varsi e Bardi, per due terzi all’estero.



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        Anche sul territorio comunale lo spopolamento non fu omogeneo; mentre ridusse in modo più limitato la popolazione residente nei centri, fu assai maggiore per i nuclei e le case sparse, che furono non poche volte del tutto abbandonati, dando luogo a numerose «ghost town», «città fantasma» formate da muri di pietra smozzicati presto ricolonizzati dalla vegetazione rinselvatichita.



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        Il paziente spoglio di quasi 17.000 schede presso gli archivi comunali di Varsi, Bardi e Bedonia, consente, pur nella sua parzialità, di avere un quadro più dettagliato degli spostamenti compiuti dalla popolazione dei tre comuni nel trentennio tra il 1951 e il 1981.
        Oltre il 42% di coloro che abbandonarono il proprio comune di residenza non uscì dalla provincia, spostandosi verso altri comuni dell’Appennino (17%) e, in misura alquanto inferiore, verso altri comuni della provincia (14%) e verso il Capoluogo (12%); un altro 35% si indirizzò verso altre province italiane, in particolare, Genova, Milano, Piacenza; per oltre il 77% dei partenti, quindi, la meta non varcò i confini nazionali.
        Tra coloro che si indirizzarono all’estero, quasi la metà scelse la Gran Bretagna, cui fece seguito, con grande distacco, la Francia e poi, ulteriormente distanziati, Svizzera e Stati Uniti.
        Anche per gli «iscritti dall’estero» che, nell’insieme esaminato, furono più della metà dei «cancellati» (ma, ripetiamo, i due dati hanno diversa attendibilità) il primato spetta alla Gran Bretagna, seguita dalla Francia, dagli Stati Uniti e dalla Svizzera.



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