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L'emigrazione parmense nel Cinquecento


Si andava già nelle Maremme

Nel Cinquecento l’emigrazione era già un fenomeno diffuso nel Appennino parmense ed era una emigrazione diretta verso le Maremme toscane e laziali. 
Si trattava di un fenomeno soprattutto, ma non soltanto, stagionale, così come era prevalentemente, ma non esclusivamente, maschile.  Anche le donne infatti, sia pure in numero minore, migravano. i migranti parmensi erano impegnati in lavori agricoli o forestali.
Come già i Malaspina, anche i Landi, Principi della Valle del Taro, emanarono, sul finire del secolo, Grida e Statuti che miravano a controllare l’emigrazione; altrettanto faranno, all’inizio del Seicento, i Farnese per il Ducato di Parma, con l’editto di Caprarola.
 

Le prime notizie

Molti libri, antichi e recenti, hanno descritto i movimenti delle popolazioni: singoli, gruppi, popoli interi si sono trasferiti da un luogo all’altro, con modalità profondamente diverse per cause, mezzi, distanze, durata degli spostamenti.
Anche gli artisti hanno raffigurato la vita che si svolgeva lungo le strade e nei luoghi abitati; nonostante ciò, le nostre conoscenze relative a specifici luoghi e tempi di emigrazione sono assai limitate; se si risale ad alcuni secoli fa, dobbiamo, almeno per ora, accontentarci soltanto di qualche indizio.

Per il nostro territorio, ad esempio, sono interessanti tre antichi documenti che dimostrano come, già nel XIV e XV secolo, si verificassero, nel nostro Appennino, dei movimenti migratori:

Tre antichi documenti

- Negli Statuti di Cariseto, piccola località della Val Trebbia, concessi dai marche- si Malaspina per i loro feudi, e risalenti - così si ritiene - ai secoli XIV-XV, era compresa una norma “De non eundo ad habitandum extra terras dominorum suorum” [Non andare ad abitare fuori delle terre dei propri Signori] in cui si stabiliva che a coloro i quali, entro tre mesi dalla requisizione dei beni abbandonati, non vi fossero ritornati, “eius bona et possessiones publicentur et publicata et apperta et ipso iure recassa sint”, cioè che i loro beni fossero espropriati; norma che costituiva, evidentemente, una grave ritorsione e un pesante deterrente verso coloro che emigravano o intendevano emigrare.
[Vedi: C. ARTOCCHINI, La legislazione statutaria dei Marchesi Malaspina per i feudi della Val Trebbia, Archivio storico per le Province Parmensi, Quarta serie, XV (1963), pp.111-169; E. NASALLI ROCCA, Osservazioni storico-giuridiche sugli statuti di Cariseto, ivi, pp.170-173.]
 
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Una veduta di Cariseto, piccolo villaggio della Val Trebbia, già feudo dei Malaspina; nei suoi Statuti, risalenti al XIV-XV secolo, erano contenute norme per scoraggiare chi volesse andare ad abitare altrove.


- Una investitura [un contratto di affitto] del 1464, relativa alla villa di Alpe di Compiano (oggi in comune di Bedonia), ci mostra un esempio di emigrazione del XV secolo; una precedente investitura era stata stipulata in Compiano, “ad bancum juris ”, il 4 agosto 1428; il podestà Giovanni de Mussis, per delega di Manfredo, Conte di Venafro e Compiano, aveva concesso in fitto perpetuo il territorio di Alpe a cinque famiglie di quel paese; tuttavia, qualcosa, in quell'investitura, non aveva funzionato tanto che, trentasei anni dopo, un altro Manfredo Landi, il Postumo, figlio del precedente, dovette procedere ad effettuarne un’altra che fu rogata il gennaio 1464 in Roca Complani; per gli affittuari era presente un Manfredo il cui padre, Antonio figlio del fu Zerbino, era stato uno dei contraenti della precedente investitura. Manfredo stipulò il contratto per sé, per il padre Antonio e per un gruppo di persone «assenti da queste parti perché abitanti in marcha Januae» [nel Genovese], a condizione che questi ritornino ad abitare ad Alpe, in caso diverso, infatti, non avranno alcun diritto in questa investitura».
[Il regesto del documento si trova in R. VIGNODELLI RUBRICHI, Fondo della Famiglia Landi - Regesti delle Pergamene 865-1625, Parma, 1984, regesto n. 2490; copia del documento, qui in parte riprodotta, presso l’Archivio di Stato di Genova, Fondo Archivio segreto, busta 298].

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Un brano dell’investitura concessa il gennaio 1464 da Manfredo Landi agli abitanti di Alpe, a condizione che questi, assenti perché abitanti in Marcha Januæ (cioè nel Genovese), tornassero ad abitare ad Alpe (Archivio di Stato di Genova, Fondo Archivio Segreto, busta 298)



- Sul finire del XVI secolo, vi fu una specifica norma emanata per il Feudo Landi; con una grida del 7 luglio 1596, Federico Landi, Principe de Valle Taro, ordinava la notifica di tutti i terreni «abbandonati dai proprietari che se ne vanno in altre parti, lasciando derelitti i luoghi [...] con grand[issi]mo pregiud[iti]o dellIll[ustrissi]ma Sua Cam[er]a».
[Il documento stato pubblicato in: P. RIZZI BIANCHI, Eccellentissimo Principe, Parma, 1999, pp. 61- 62].

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La grida del 7 luglio 1596 di Federico Landi, Principe de Valle Taro, in cui si chiede di segnalare quelli che se ne vanno in altre parti, lasciando derelitti i luoghi» (Archivio privato del dott. Alberto Faganello di Compiano)

Come vedremo, una parte di questi emigranti esercitavano mestieri girovaghi; in tali attività, non erano certamente i soli; Annibale Carracci, ad esempio, ci ha lasciato dei bei disegni, eseguiti verso la fine del Cinquecento, dedicati proprio ai girovaghi del suo tempo; ne riportiamo tre, che riguardano attività su cui avremo occasione di ritornare.

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Il venditore di inchiostro fino, incisione tratta da un disegno di Annibale Carracci della fine del XVI secolo (da: Gli ambulanti di tre secoli fa - Le arti per via - Incisioni in rame di GIUSEPPE MARIA VITELLI su disegni di ANNIBALE CARRACCI - Arnaldo Forni editore - ristampa anastatica)

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Il venditore di pettini da lino, setacci (idem).

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Il cavadenti ambulante (idem).

► pagina di approfondimento l'emigrazione nel tardo 500

 

 

Il Cinquecento

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