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Gli emigrati e il Fascismo![]() Sul tema dei rapporti tra emigrati italiani e Fascismo, che non può essere qui affrontato in modo adeguato, ci limitiamo a riportare dal libro di HUGES COLIN, Lime, Lemon & Sarsaparilla – The Italian Community in South Wales 1881-1945, Poetry Wales Press Ltd, Bridgen 1991, recentemente tradotto e pubblicato con il titolo La Comunità italiana nel Galles Meridionale: 1881-1945, Bardi, Centro studi della Valle del Ceno, 2005 il paragrafo seguente, paragrafo che, a sua volta, cita ampiamente un libro di memorie di un emigrante di Lugagnano Inferiore di Monchio, CALLISTO CAVALLI, Ricordi di un emigrato, Edizione “La voce degli italiani”, senza data e luogo di pubblicazione (ma Londra,1970). Il curioso titolo inglese del libro di Huges Colin si riferisce, come è spiegato nell’Introduzione, a «tre otri di porcellana bianca, bordati d’oro, decorati con disegni di pesche e uva, ognuno recante scritto il nome della bevanda all’interno: succo di limetta, limonata, gazzoza aromatizzata con salsa pariglia» che facevano bella mostra di sé nel bar della famiglia Conti, bardigiana, a Cefn Fforest, nel Galles, quando l’autore era ragazzo. Il fascismo e gli emigranti Mussolini pensava più a rafforzare la popolazione maschile italiana per soddisfare le sue ambizioni militari piuttosto che ai benefici economici dell'emigrazione, e rese quindi le regole dell'emigrazione più burocratiche per contrastare il flusso migratorio. Ciò, sommato alle politiche limitative dell'immigrazione negli Stati Uniti, e alla diminuzione dei posti di lavoro in altri Paesi, cambiò profondamente le abitudini di vita degli italiani. L'emigrazione scese dalle seicentomila partenze annuali degli anni antecedenti alla prima guerra mondiale a meno di cinquantamila partenze per anno alla fine degli anni '30. Come già in Italia, Mussolini si sforzò di guadagnarsi le simpatie degli italiani all'estero. Gli 'emigranti' divennero 'italiani all'estero', giovani “con la missione di civilizzare il mondo” C. Cavalli, che negli anni ’30 risiedeva a Londra, in seguito scrisse: “gli emigrati italiani all'estero erano assai più protetti, rispettati e tenuti in alta considerazione di adesso - 25 anni dopo la caduta del fascismo”. Cavalli, anche se dichiara di non essere mai stato un fascista fervente, aderì al partito nel 1935, iscrivendosi alla sezione di Londra: Molti anni prima che io mi iscrivessi, il fascismo aveva preso piede a Londra, e molti miei connazionali che vi risiedevano, tra cui la gente migliore della comunità [italiana], si erano iscritti al partito. Altri, anche se non avevano la tessera, erano comunque simpatizzanti. In più, la maggior parte degli italiani all'estero aveva motivi più che validi per essere grata al governo fascista. Prima del fascismo, tutti i governi italiani si erano curati ben poco - per non dire affatto - delle migliaia di persone emigrate: adesso le cose erano cambiate. Il governo fascista aiutò veramente i connazionali all'estero e, per quanto gli fu possibile, ne favorì il benessere. Grazie al governo fascista decine di scuole serali avevano aperto solo a Londra, per i figli degli emigrati che erano nati a Londra e che così potevano imparare la nostra lingua madre. Qui Cavalli sottovaluta il lato politico di queste iniziative sociali, che, a dispetto dell'immagine benefica e della valenza patriottica, erano chiaramente un mezzo attuato da Mussolini per guadagnare consenso. Con gli stessi toni venivano descritte le lezioni d’italiano che erano state avviate in Galles con il patrocinio del Consolato Italiano di Cardiff, e così pure le gite annuali al mare e in campagna. Se alcuni furono conquistati dal fascismo grazie a tali iniziative, altri videro in queste un modo di ravvivare l’orgoglio nazionale. Come in Italia, le gite rappresentavano uno svago, e le scuole un gradito progresso culturale. Infatti, a parte la presenza sporadica del console - che veniva considerato più come un ufficiale del governo italiano che un attivista del partito - coloro che prendevano parte alle iniziative potevano anche non rendersi conto degli scopi politici che nascondevano. E a molti, comunque, non importava. A questi incontri la bandiera italiana, piuttosto che l’emblema fascista, era il simbolo più esibito. Vi erano comunque manifestazioni più palesi, almeno a Londra. Come testimonia Cavalli: Il gruppo dei fascisti di Londra... tra cui un folto numero di toscani, era unito da un unico scopo: diffondere il fascismo in tutta Londra e il Regno Unito. Seguendo un programma che loro stessi avevano messo a punto, i fascisti di Londra organizzavano spesso balli, ricevimenti con parate patriottiche, nei quali gli emblemi fascisti erano sempre più in evidenza... Alle varie conferenze sul fascismo che si svolgevano a Londra, la grandezza dell’Italia era spesso esaltata con entusiasmo sincero. Gli italiani di Londra, fascisti o non fascisti, non avevano mai mostrato tanto entusiasmo per la madrepatria come a quel tempo. L'eminenza grigia dietro tutto questo fenomeno era l'ambasciatore italiano a Londra, il “conte” Dino Grandi. Non era un diplomatico di carriera, ma una figura di spicco del partito fascista italiano, un ex gerarca di provincia di una cellula del fascismo particolarmente violenta, e un rivale, agli occhi di Mussolini, per la leadership. Durante il suo mandato a Londra, alcune organizzazioni di commercio indipendenti, come l'Associazione dei caffettieri e l'Associazione dei ristoratori italiani, caddero sotto il controllo fascista. |