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Tristi storie di minori

         Lo stato di bisogno era certamente presente nella maggior parte delle famiglie, che proprio per questo mandavano i figli all’estero; a volte con i propri famigliari, a volte affidandoli, dietro compenso, a dei conoscenti; probabilmente, anche tra i minori vi era chi affrontava volontariamente l’esperienza di «andare per il mondo in cerca di fortuna», pratica dura ma diffusa e che, si sperava, poteva aprire le porte a qualche guadagno maggiore di quello che si poteva ottenere restando nel villaggio; spesso, però, le speranze venivano deluse.

Una supplica per ottenere il permesso di inviare i figli all’estero.

         Ecco come, nel 1838, due genitori di Strela avanzarono richiesta al Commissario del Territorio Valtarese per poter affidare i propri figli minorenni al titolare di una compagnia di girovaghi:
        «I sottoscritti Alessandro Mariani ed Angela Bertolini vedova Mazza, dimoranti il primo alla così detta Casa di Santino e la seconda a Costa Mezzana, Parrocchia di Strela, comune di Compia-no, ambedue ristrettissimi e carichi di famiglia, e non sapendo più in qual partito appigliarsi onde la numerosa e miserabilissima sua famiglia soccorrere hanno determinato lor malgrado di consegnare a certo Andrea Gatti di Cavignaga girovago con diversi strumenti musicali e belve selvatiche, uomo che altre volte ha condotto presso di sé altre persone, il primo un figlio d’anni 14 nomato Marco, e la seconda un altro figlio sotto il nome di Antonio d’anni tredici.

         Ma non avendo per anco nissuno de’ due l’età prescritta dalle vigenti leggi onde ottenere il passaporto, né il Podestà di Compiano, né di Bedonia, gliel’hanno voluto fare, poiché i regolamenti glielo vietavano, ma neppure li hanno voluti porre sul passaporto del Gatti dicendo non potendo ciò fare senza un previo ordine della S.V.I. [Signoria Vostra Illustrissima]. Così anche noi supplici veniamo dalla S.V.I. onde mover si voglia a compassione di due famiglie cotanto miserabili, e certi d’ottenere quanto umilmente imploriamo da chi con animo ben fatto qual sempre si mostrò quello della S.V.I. appo i miserabili non mancheremmo di porger preci all’Altissimo per la conservazione della S.V.I. nonché della famiglia della prelodata S.V.I. In fede di quanto esponiamo umilmente [..]».
         [Archivio del Comune di Bedonia]

Quattro fratelli in cattive mani

         In una supplica rivolta al Duca il 26 marzo1850 da Antonio Belli fu Orlando, detto Landaia, di Masanti, si legge che questi aveva consegnato, nel 1847, quattro suoi figli a Giovanni Taddei di Agostino anch’esso di Masanti, «col patto che lo servissero come famigli in Paesi Esteri con suoni, ma che entro due anni li restituisse in patria pagando il convenuto salario mensuale, ma il Tadei non è più rimpatriato, né pare sia per rimpatriare, ed intanto ha impedito od impedisce ai figli dell’oratore di rimpatriare, avendone potuto un solo fuggire dalle sue mani dopo il tempo convenuto, e rimpatriare.
         Per maggior colpa il Taddei ha poi consegnati due di detti figli ad un Marco Belli di Domenico in Pietroborgo, così che ha disposto di quel che non è suo, e senza pagare il convenuto salario.
        Per simile procedere del detto Tadei Gio., l’oratore [= colui che presenta la supplica] che ritrovasi privo de’ suoi tre figli e del salario, e che presto va ad essere esposto a pericoli perché due di essi sono prossimi alla leva militare, cioè di Antonio che si accosta ai 21 anni, che entrò già nella propria leva, ed il Giovanni che ha compiuto gli anni 17, supplica umilmente V.A. acciò procuri che il Governo di Pietroborgo faccia partire da quella città i detti due figli, e che muniti di carta di sicurezza possino arrivare in patria, e così consolare i poveri genitori, e liberarli da ogni incomodo per la leva militare [..]».
         Il Console a Pietroburgo, il 30 novembre 1850, riferiva: «Interessato del caso il ministero esteri di Pietroburgo, ha avuto risposta che risulta dalla deposizione di Marco Belli, presso di cui dovevano trovarsi Antonio e Giovanni Belli, che realmente questi due giovani avevano dimorato in sua casa, ma che da più di un anno uno di essi, e precisamente Antonio, erasene fuggito senza lasciare traccia del luogo della sua dimora, mentre che l’altro, Giovanni, il quale erasene ugualmente più fiate assentato, trovavasi nelle mani della polizia di questa capitale, che l’aveva arrestato fin da-gli 8 agosto ultimo.
         Interrogato contemporaneamente Giovanni Belli, aveva dichiarato che per effetto dei cattivi trattamenti di Marco Belli, il quale da più di quattro anni non gli aveva pagato i salari convenuti, erasi veduto nella necessità di esercitare la sua professione altrove.
         Che il tribunale della polizia di questa capitale, a cui erasi data parte all’epoca della fuga di Giovanni Belli, aveva ordinato una processura per assodare la veridicità delle esposizioni di Marco e Giovanni Belli.
         Onde non fare differire ulteriormente il ritorno in famiglia di Giovanni Belli, e profittare della prossima partenza di Marco Belli per Parma, credei conveniente rinnovare i miei uffici presso questo Gabinetto Imperiale, e chiesi ed ottenni che l’ordinata processura venisse sospesa, e che Giovanni Belli fosse consegnato in Cronstadt [Kronšhtadt] dalla Polizia imperiale a Marco Belli nel momento che s’imbarcava per Havre, di dove avrebbero proseguito a cotesta volta, lo che ha avuto luogo il 26 ottobre ultimo.
         Con nota successiva questo Ministero degli affari esteri mi ha partecipato che in seguito di ulteriori informazioni giunte al ministero imperiale si è conosciuto che il giovane Antonio Belli fu arrestato in Mosca in luglio 1849, perché privo di passaporto, e che a richiesta dello zio Giovanni Taddei, era stato spedito alla frontiera di estradizione di Sl… [?] per essere consegnato alle limitrofe autorità austriache [..]» ..

         [Archivio di Stato di Parma - Fondo Dipartimento di Grazia, Giustizia e Buongoverno, busta 52]

Un dodicenne fuggitivo in Francia.

         Il Console di Parma a Lione il 4 luglio1854 scriveva che «un Giuseppe Belli nato a Masanti e dimorante in Francia, denuncia che uno dei suoi bambini a nome Antonio Belli di dodici anni [era] stato affidato a Giovanni Brizzolari nativo di Tasola, alla condizione che quanto Antonio avrebbe guadagnato con una boîte á musique [organetto portatile], che suo padre gli aveva assegnato, il Brizzolari ne avrebbe tenuto conto della metà a Belli.
        Brizzolari ha dato ricevuta incaricandosi dell’organetto e del figlio Belli, e che renderà il tutto a Belli padre quando si sarà rimborsato di una somma di 25 franchi.
         Brizzolari era pertanto responsabile del ragazzo minore, ma sin dalla consegna avvenuta nel 1847 Belli non ha più sentito notizie di suo figlio, e quando lo ha reclamato a Brizzolari, lui gli ha risposto: “pagami i 25 franchi e io te lo farò ritrovare”.
         Poiché Brizzolari si trova a casa in questo momento – concludeva il Console - prego prendere disposizioni contro di lui, come richiede il caso».
         La Gendarmeria del Ducato riferiva il 25 luglio al Ministro degli Esteri che «è stato interrogato il Brizzolari, che ha fatto le seguenti dichiarazioni: che da tre anni circa in Valenza di Francia certo Belli gli consegnava un suo figliolo dell’età ad un dipresso di dieci anni; che tenne in custodia questo giovane ed onde di procurare ad esso mezzo di guadagnarsi il vitto gli procurò la restituzione d’un organo portatile che eragli stato trattenuto per debiti; che questo ragazzo dopo tre giorni dalla consegna del mentovato strumento scomparve, senza che sia più stato fattibile al custode di lui di avere notizie del medesimo, di cui fu quindi per cura del Brizzolara data, per ogni buon fine e per propria garanzia, denunzia al Commessario di Polizia in Valenza.
         Il ridetto Brizzolara ha addotti a testimoni delle cose da lui deposte certa Maddalena Ros albergatrice nella suaccenata città di Valenza strada Rameau n. 20 ed il signor Angelo Lusardi di Casaleto che trovasi in Francia alloggiato nell’albergo medesimo» ..

         [Archivio di Stato di Parma - Fondo Dipartimento di Grazia, Giustizia e Buongoverno, busta 59]

Un altro dodicenne fuggitivo in Austria-Ungheria


         Giuseppe Leporati d’anni 12, figlio di Pietro, contadino di Porcigatone, venne dato in consegna nel 1850 a Giovanni Antonelli, suonatore d’organo portatile, anch’egli di Porcigatone, che poteva valersi dell’opera del giovinetto alla condizione che lo riconducesse al padre al suo ritorno in patria dopo circa un anno. Il ragazzo non era provvisto di documenti, come non poteva esserlo, né era compreso nel passaporto della persona cui era stato affidato.
         L’Antonelli ritornò nel 1851 senza il giovane Leporati, dicendo «di averlo perduto» a Screchen, luogo distante circa dieci miglia da Vienna (Schwechat, che dista 14 kilometri?), dove l’aveva mandato con una scimmia insieme ad un altro garzone, Antonio Antonelli. Anche quest’ultimo non era stato riportato in patria ed, avendo 17 anni, non poteva più rimanere all’estero perché soggetto agli obblighi di leva.
        Mentre venivano avviate le ricerche dei due giovani, giungeva all’Antonelli una lettera da Pesth da parte di Luigi Dallara, in data 30 gennaio 1851: «carissimo amico vengo con queste due righe a darvi buone notizie cioè buone e cattive che verso le feste del Santo Natale mi incontrai il vostro servo più piccolo che era già verso Pesth a un borgo detto Rapa (forse Pápa, circa 165 km. prima di Budapest, a sud di Györ] e lo trovai amalo lui e la scimia, il quale vi era fugito da Vienna e lo trovai senza scarpe e senza veste quasi affatto e senza cabietta dela scimia il quale la portava ispalla a quel freddo, ma secondo la mia intenzione per quanto conosco la scimia durerà più poco.
        Poi inquanto al ragazzo la sua malattia va migliorando. Riguardo alla scimia se camperà venendo alla patria ve la pagherò tre napoleoni d’oro. Se ella more fra otto o dieci mesi io non vi do nemmeno un soldo, perché riguardo da parte mia farò tutto il conto di essa come fosse stata mia da principio, poi vi prego di darmi pronta risposta tanto per la scimia come per il ragazo come io devo regolarmi se ve lo devo mettere per mani di giustizia o se lo devo tenere presso di mia custodia. La risposta la farete per Temyvar [Temesvar, Timisoara, oggi in Romania] in Ungheria. Altro non vi dico che salutarvi di vero core, e sono vostro amico Dallara Luigi».
        Si apriva una fitta corrispondenza tra il Direttore Generale dell’Ordine Pubblico e l’Alto Buogoverno e il Barone Ward, Ministro residente di S.A.R. l’Infante Duca di Parma a Vienna.
         Il 10 marzo 1851 risultava che il giovane Leporati avrebbe dovuto trovarsi a Temisvar, in compagnia del nominato Luigi Dallara che lo aveva accolto presso di lui e, nel medesimo tempo, aveva pregato il Governo Imperiale di dirigere il detto giovane verso il suo paese natale per consegnarlo alla frontiera alle autorità parmigiane.
         «Anche Antonelli Antonio, munito di passaporto, trovasi tuttora presso certo Cavacciuti Giovanni, e precisamente Limbergo di Gallizia, che appena saputo lo smarrimento del Leporati, es-so ne diede avviso alla Polizia di Vienna Reichstad (luogo distante trenta miglia dalla città) nonché a tutte le autorità degli altri paesi nei quali passava quando tosto mosse in traccia del giovinetto».

         [Archivio di Stato di Parma - Fondo Dipartimento di Grazia, Giustizia e Buongoverno, busta 46]

Andrea, quattordici anni, accolto e adottato in una casa in Boemia.


         Il 18 gennaio 1851, si presentava al Podestà di Compiano Guglielmo Belli di Masanti, suonatore d’organo, dichiarando che, sul finire del 1848, condusse in Boemia Andrea Reboli fu Giovanni e di Maria Corvi, di Compiano, di anni 14, in qualità di garzone suonatore.
         Il Reboli, «siccome assicura il Belli, fuggì da lui in Saincichcz [?], senza che ne abbia più avuto contezza, sebbene sia ricorso a quelle autorità locali, siccome lo comprovano autentiche attestazioni che tiene presso di sé del 4 luglio 1850, motivo per cui ha dovuto rimpatriare senza ricondurre alla famiglia il giovinetto Reboli.
         Il Belli prega di volere intrattenere sulla interessante bisogna di che trattasi S. E. l’incaricato del Dipartimento degli Affari Esteri della Real Corte, onde voglia far raddoppiare in Boemia le convenienti indagini per la ricerca dell’indiscorso giovinetto, non senza, perché dato il caso che rinvengasi, sia disposto pel suo rinvio in patria, al fine di liberare chi lo condusse in questi Stati dalle vessazioni dei parenti del più volte ricordato giovinetto, che non cessano d’inquietarlo, ed anche per tenerlo lontano da quello che potrebbe incontrare quando il Reboli arriva all’età di far parte della coscrizione».
         Dalle denunce presentate, nel 1850, dal Belli al Tribunale di Oberwiesenthal (in Sassonia sul confine con l’attuale Repubblica Ceca), da lui prodotte come giustificativo della mancata riconsegna di Andrea, si evince che il ragazzo era sfuggito al padrone ed era rimasto latitante per sei giorni; gli era nuovamente sfuggito a Gorkau (circa 70 km a nord-ovest di Praga) ed era stato da lui ritrovato, dopo quattro giorni, a Teplitz, (circa 40 km da Gorkau).
         Il 9 luglio, Andrea era fuggito definitivamente dalla sua compagnia di musicanti in Leitmeritz (circa 90 km a nord di Praga).
         Il 31 gennaio 1851, il Belli inviava una supplica al Ministero di Grazia e Giustizia: «Partiva di questi Regi Stati nell’anno 1848 l’ossequioso suddito parmense Guglielmo Belli fu Gerolamo di Masanti, per recarsi nei Domini imperiali austriaci assieme ad un suo Agente Andrea Reboli d’anni 13 nativo di Compiano al fine di procacciarsi il vitto e per se e per la povera sua famiglia esercitando il mestiere di suonatore d’organo con figure mobili.
         Passava per la Baviera, Sassonia, giunse in Boemia ed ebbe molto a soffrire nel tradursi seco il giovinetto Reboli disubbidiente e fuggitivo per non sostare ai comandi del Padrone e vivere piuttosto una vita di oziosità; più volte si fece ricorso a quella polizia per rinvenirlo ed era subito tradotto senza punto ravvedersi.
         Precisamente in Teplitz in Boemia sui confini della Sassonia, vedevasi l’ossequioso ripatriarsi per soccorrere ai bisogni di una madre vedova, e di altre tre sorelle povere che vivono tutte sulle fatiche del qui Oratore, ricorse a quel Commissario spiegò che non era fattibile tradurre in patria il Reboli pei motivi già indicati – rispose il buon Commissario che l’età ancora tenera non esigeva farlo tradurre per altra via, ma che il seco tenesse, e che a maggior sicurezza gli rilasciava un attestato onde non avesse a soffrire giunto che fosse in patria.
         Di là partitosi giunse a Leitmeritz ed il giovinetto era già fuggito e perduto; nuovamente il Belli …[?] a quel Vice Commessario narravagli la fuggita, si approntò per rinvenirlo dando i conotati personali, ma non venne fatto di trovarlo, ottenne anche dallo stesso un attestato sulle forme del primo ed era assicurato che non sarebbe molestato quando anche avesse divisato partir per la patria. Infatti nei giorni ultimi di dicembre scorso si ripatriava con gravissimo cordoglio di non aver seco condotto il figlio perduto sperando di trovar grazia presso de’genitori, ma non ebbe luogo, come non ebbe effetto ne l’uno ne l’altro attestato, ch’anzi dovette sborsare per intero il pattuito, e continua il salario nuovamente sino al ripatriare del Reboli, soggeto a danni e spesa. Per l’ossequioso suddito […]».
         Nonostante le accurate ricerche, il ragazzo non veniva trovato. Venivano anche inviati i suoi connotati ed altre notizie: all’epoca dello smarrimento vestiva «calzoni di panno turchino, beretto nuovo di veluto celeste, ed una sopraveste di tela cottone color celeste». Frequentava la città di Leitmeritz ed altre di quei dintorni, e «per lo più stava col suo padrone Belli Guglielmo e con altri tre garzoni che sonosi rimpatriati dal Belli stesso. Non portava con lui verun strumento».
         Dopo tre anni dalla scomparsa, il 26 maggio 1853, arrivò la buona notizia dal Console a Vienna: «Questo giovane è stato ritrovato grazie alle ricerche ordinate dal governo imperiale, nell’abbandono e nella miseria in cui era, è stato raccolto da un uomo caritatevole, proprietario a Britzen in Boemia a nome Giuseppe Liebscher, il quale gli fatto apprendere la lingua tedesca. Risulta dal processo verbale disteso nanti l’autorità competente che il giovinetto Reboli fu abbandonato da un suonatore d’organo portatile nell’albergo di Leitmeritz; che non avendo egli più denaro ne’ il suo compagno essendo più tornato a rilevarlo, egli abbandonò l’albergo e si mise a mendicare; e che essendosi presentato in qualità di mendicante in uno stato di totale sfinimento e tutto lacero alla porta della casa di Liebscher, questi l’accolse con bontà nella sua casa, e provvedutolo di vitto e di vestimenti ebbe la premura di mandarlo a scuola.
         Dichiara inoltre il detto Liebscher di voler ritenere presso di sé questo giovinetto e d’avere per lui le premure di un padre, la qual cosa il Reboli da parte sua dichiara di accettare volentieri, nutrendo tuttavia desiderio di poter rivedere sua madre.
         Nel caso che i parenti di questo giovinetto desiderassero che a loro fosse rimandato dovrebbero far tenere al Liebscher il denaro occorrente pel viaggio.
         Le ricerche precedenti non condussero ad alcun risultato perché il Reboli non parlava che l’italiano, e non ha potuto porgere al suo benefattore Liebscher notizie sulla propria condizione e sui propri antecedenti, che dopo aver imparato per le sollecitudini di lui la lingua tedesca.
         Le quali cose io prego V.S. Ill.ma di partecipare ai parenti del fortunato giovinetto Reboli e principalmente alla madre di lui, interrogandoli in proposito e facendomi poi conoscere le determinazioni affinché possano essere assecondate presso il governo imperiale».
         Il 29 giugno 1853 il Podestà di Compiano riferì: «Ho partecipato alla Corvi Maria di Compiano e a Corvi Giovanni di Borgotaro, questo zio e quella madre del giovane Reboli Andrea le cose esposte nel dispaccio.
         Si l’una che l’altro soddisfattissimi delle paterne cure prodigate all’anzidetto Reboli dal Giuseppe Liebscher, mi hanno pregato di esternare al medesimo i loro più vivi sensi di riconoscenza e di rendergli le più distinte grazie, e di fare in pari tempo valevoli uffizi, acciò il prelodato sig. Liebscher tenga ancora presso di sé il giovanetto Reboli, almeno sino a tanto che la madre sua sia in grado di sostenere le spese occorrenti per farlo ripatriare. E questo sarebbe desiderio dei nominati parenti, fosse fatto conoscere al mentovato signor Liebscher, onde io ne fo preghiera a V.E. » .
         [Teplitz si chiama ora Teplice; Gorkau si chiama Jirkov; Leitmeritz si chiama Litoměrice, tutte nella Repubblica Ceca]

        [Archivio di Stato di Parma - Fondo Dipartimento di Grazia, Giustizia e Buongoverno, busta 258 ]

A Londra, una convivenza contrastata.


         Il Comando dello Stato Maggiore delle Piazze, in data 19 gennaio 1852, segnalava al Ministro degli Esteri che Giuseppe Rabaiotti di Grezzo, abitante a Londra, aveva fatto istanza per «rimostrare come altro Rabaiotti di nome Antonio pur esso di Grezzo, avesse nel tempo che trovavasi in detta Capitale, ad indurre con false lusinghe, una figlia del ricorrente chiamata Ester, ad abbandonare furtivamente il padre ed a vivere insieme a lui in scandaloso concubinato, pel tempo di quindici mesi all’incirca, e per cui rimasta quell’incauta incinta sarebbe prossima a sgravarsi di illegittima prole, fa vive istanze il Rabaiotti prementovato acciò al seduttore della figlia sua che ora trovasi in patria, non sia dato nuovo passaporto per far ritorno a Londra.
         Siccome lo stesso ricorrente pone innanzi nell’istanza predetta che appena s’accorse della fuga della figlia e della riprovevole convivenza della medesima col suo seduttore, ebbe ricorso contro costui al Governo del luogo, intentando un giudizio, ma che questo tornò senza effetto per difetto di quelle leggi, lo scrivente Regio Comando trova opportuno di riferire la bisogna in discorso a codesto Ministero, pel fine degnar voglia far pratiche, in via diplomatica, presso il Governo preaccennato, onde avere positive e particolareggiate notizie intorno al fatto che si opone al Rabaiotti Antonio, cui intanto è stato ritirato il passaporto che gli fu rilasciato il 2 ottobre u.s., e per poter poi prendere sul conto di lui, a norma de’ riscontri che si otterranno e che lo scrivente amerà di conoscere, quelle determinazioni che potranno essere necessarie».
         Antonio Rabaiotti ribatteva scrivendo all’Ispettore della Reale Gendarmeria: «1) che il ricorso portato dal Rabaiotti prementovato sia in tutto calunnioso e dettato da odio che nutre inverso l’altro Rabaiotti, per sospetti chimerici; 2) che una tale calunnia venne smentita dalla figlia dello stesso ricorrente e da un fratello di essa nanti l’I. R. Console austriaco risiedente in quella Capitale, il quale ne estese processo verbale, e fu convinto della perfidia del calunniatore; ma ciò nonostante dichiarò che non potevasi prendere da lui l’iniziativa in un tale affare; che però quando fosse stato interpellato da qualche autorità civile o militare avrebbe fatto conoscere lo stato delle cose ed in modo da rimuovere ogni dubbio sulla falsa accusa data a Rabaiotti Antonio».
         Il Console a Londa inviava il 3 aprile la sua relazione: «Dopo lunghe ricerche mi è riuscito finalmente trovare il suddito parmense Giuseppe Rabaiotti, oggetto del suo gradito dispaccio. Egli dimora da vari anni in questa Capitale ed è onestamente impiegato al di là del Tamigi in uno stabilimento zoologico alla cura delle giraffe.
         Rimasto vedovo con quattro figli contava nell’aiuto della sua figlia maggiore d’anni 21 di nome Ester per tirare innanzi la sua famiglia ma in vero lasciatasi sedurre da un suo parente di nome Antonio Rabaiotti abbandonò la casa paterna per vivere matrimonialmente col suo seduttore.
         Questo si trova essere ammogliato con Maria Anna Boccacci nativa di Boccolo, sposata da quattro anni e mezzo nella chiesa di S. Pietro di Boccolo dei Tassi e pertanto nell’impossibilità di riparare l’onta e i danni causati allo sventurato Giuseppe. Tentate vanamente le vie giudiziarie e quelle di conciliazione, dalle quali solo raccoglieva minacce, e nuovi pericoli, egli ricorse al nostro Governo chiedendo non fosse dato passaporto ad Antonio Rabaiotti, nella speranza che il di lui allontanamento riconducesse la figlia a’ suoi doveri; ritornato però qui il detto Antonio, non solo la Ester lasciò una casa dove il padre l’avea posta a servire, ma anche un fratello d’anni 19 si è portato a vivere con lui, lasciando il Giuseppe nella maggior disperazione.
         Dall’altra parte, Antonio Rabaiotti è una specie d’impresario d’una trentina di suonatori ambulanti ch’egli alimenta, e da’ quali riceve il prodotto della loro industria. Mi vien detto che vorrebbe disfarsi della Ester, ma ne teme il carattere.
         Ignoro se egli sia qui venuto con un regolare passaporto ma ancorché se ne fosse dispensato V.E. ben sa essere inefficace la nostra azione per farlo partire. D’altronde la condotta della citata giovane fa ben temere che abbandonata a se stessa, andrà dal male al peggio anziché ravvedersi. Perciò mi proverò facendo chiamare il ridetto Antonio Rabaiotti a persuaderlo a riunirsi colla sua vera moglie, o in Grezzo o qui, e convincere così la Ester indirettamente della necessità di riunziare a lui, e d’appigliarsi al paterno perdono, ed oblio del passato. L’affare è oramai troppo guasto per potermi compromettere sul buon risultato di questo passo ufficioso; ma mi darà il tempo per ricevere gli ulteriori suoi comandi».
         In novembre il Podestà di Bardi segnalava che Antonio Rabaiotti era ritornato al suo focolare, e chiedeva il rinnovo del passaporto. Giuseppe si opponeva, ma era impossibilitato a recarsi al suo paese per denunciarlo ..
         Archivio di Stato di Parma Fondo Dipartimento degli Affari Esteri - Alto Buongoverno, busta 51
 

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